Speculare 2023

Speculare 2023

Note dell'artista

 

Fantasmaticità. Appunti site specific

 

La «realtà» accerchia costantemente l’artista per impedirgli di evadere. Quanta astuzia presuppone la fuga geniale! Occorre essere un Ulisse alla rovescia, che si libera della sua Penelope quotidiana e naviga tra gli scogli verso la magia di Circe.

Ortega Y Gasset, La disumanizzazione dell’arte

 

Varcare i confini del limite e del credibile, del ragionevole e del diurno, e lasciarsi alle spalle i regni dell’impossibile, dell’inaudito e del notturno. Solo così si crea – stando al mito – qualcosa di vivo, palpitante, reale.

Gabriella Caramore, Il sogno è potenza di realtà

 

Considerazioni sotto forma di appunti sulla mostra “8 minuti dal sole” e sull’opera “Appariscenze” costruita in situ per la Chiesa di San Martino a Gerace.

Fantasma. Da qui certamente si parte. Paesi fantasma (o potenzialmente tali), edifici fantasma (abbandonati, non più abitati), monumenti fantasma (come la Chiesa di San Martino in cui le funzioni religiose sono state sospese)…in cosa consiste in effetti il fascino che tutti – artisti e non – subiamo rispetto a questi luoghi?

Luoghi della scomparsa: è questo il motore della fascinazione? È all’interno di questa particolare dimensione che ciascuno può lasciarsi andare all’esperienza della suggestione e dell’illusione? Sperimentare la potenza dell’immaginazione, dall’incantamento alla paura alla meraviglia?

Di fantasmi parlano tutti. Sfogliando tanti libri, scelti apparentemente quasi a caso, ritrovo questo tema della fantasmaticità, che non era ciò che stavo cercando. Strane coincidenze…

Salvatore Settis: parla del fantasma del classico e cita Ezra Pound e J.L. Borges che descrivono il ritorno degli déi pagani come profughi.

Benjamin: fantasma dell’aura e dell’autenticità dell’opera a causa della sua riproducibilità tecnica.

Baudrillard: fantasma del valore assoluto dell’arte connesso alla sua sparizione.

Danto: fantasma della bellezza come esito della “morte dell’arte” postulata da Hegel.

Didi-Huberman: i fantasmi e le immagini insepolte di Warburg.

Warburg: fantasmaticità dell’immagine stessa (brise imaginaire). Definiva la storia delle immagini una “storia di fantasmi per adulti”. Viene ricoverato nella famosa clinica psichiatrica di Binswanger a Kreuzlingen.

La questione della modernità.

La maggior parte di questi autori fanno riferimento a diverse, ma interconnesse, forme di fantasmaticità prodotte da quella modernità che si è proposta come un assolutamente nuovo recidendo legami, provenienze, radici. Un nuovo tempo smemorato. Salvo poi dover fare i conti con la ricomparsa, talvolta persecutoria, di ciò che aveva dimenticato e voluto dimenticare senza, evidentemente, poterci davvero riuscire.

Apparizione/comparsa.

Il presupposto della fantasmaticità è in effetti l’apparizione: se qualcosa scomparisse e basta, nessuno saprebbe della sua esistenza, nessuno si accorgerebbe dell’avvenuta scomparsa. Il territorio vero e proprio della scomparsa è il nulla. Non esistente. Se parliamo di fantasmi, stiamo parlando invece dell’apparizione o appariscenza, della comparsa di ciò che è scomparso. Sembra un gioco di parole.

Noi artisti siamo esperti di questo: magiche epifanie e visioni.

Giochiamo a fare i profeti?

L’ostinazione (che di ostinazione ce ne vuole tanta per fare gli artisti oggigiorno) assomiglia alla vocazione o all’antica manìa dei greci, che è anche una divinità di origine etrusca.

La chiesa.

Quale luogo più suggestivo e suggestionante di una chiesa vuota, cuore silenzioso dell’archeologia dell’immagine, nata sui resti (o dalla trasformazione) dei templi che a loro volta avevano ospitato profezie, déi, sacerdotesse, sacrifici (da cui sacro, me lo devo ricordare!), oggetti di culto, miti, favole e fantasie?

Fantasma (dal latino phantasma, derivato dal greco φάντασμα, phàntasma, a sua volta da ϕαντάζω phantàzo, “mostrare” o da ϕαντάζομαι «apparire») è un simulacro.

Dal Vocabolario Treccani online: 1. immagine non corrispondente a realtà, cosa inesistente, illusoria, puro prodotto di fantasia…apparizione notturna, ombra, spettro. 2. Nel linguaggio della critica e dell’estetica, f. poetico (o assol. fantasma), la visione, l’immagine quale si presenta all’intuizione del poeta, e dell’artista in genere, e che questi traduce in realtà poetica con parole, o suoni, linee, colori; nell’uso corrente, in senso più ampio, s’intende talora per f. poetico anche il prodotto della fantasia poetica. 3. Nella psicologia aristotelica, l’immagine di una realtà sensibile e individuale presente nella fantasia.

Phantasma, imago, eidola, simulacro: tutte parole collegate tra loro e, di etimologia in etimologia, diventa evidente che la natura stessa della creatività contiene un fantasma inseparabile dalla fantasia. Dev’essere questo, in effetti, il motivo per cui salta sempre fuori negli studi sull’arte. Non è una coincidenza.

Platone: le immagini sono false, ingannevoli, seduttive e ammaliano le menti.

La Bibbia le condanna come idolatria.

Nel passaggio dal politeismo al monoteismo vengono proibite, eliminate in quanto tracce del mondo pagano.

Il Cristianesimo le resuscita, le assimila e le trasforma conferendogli un nuovo diritto di cittadinanza.

Religione e immagini nella tradizione occidentale diventano coinquiline, condividendo per secoli lo spazio della chiesa e del sacro.

James Elkins, autore de Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea scrive che nel contemporaneo questo posto non esiste più. Il divorzio si è consumato irrimediabilmente proprio per effetto della modernità di cui sopra e del processo di secolarizzazione.

Il Dostoevskij dell’Idiota scrive che il rapporto tra umano e divino è stato fratturato, e Dio è stato perduto, nel momento stesso in cui abbiamo visto la sua rappresentazione nell’immagine della crocifissione («Quel quadro! Osservando quel quadro c’è da perdere ogni fede»).

Non si può pensare ad un essere senza storia, senza memoria.

Per questo forse ci troviamo qui a ricollocare le nostre immagini in un passato remoto che, dall’incredibile panorama di Gerace che guarda verso il mare, sembra infinito.

Che spazio è una chiesa oggi?

Non una cornice, credo, o perlomeno non una cornice che garantisca la nettezza della separazione dal resto del mondo, perché la chiesa è un pezzo di mondo.

La modernità a-storica è invecchiata a sua volta ed è divenuta anch’essa memoria.

La chiesa non è (non può essere) più quello che è stata un tempo e non ci piace Montanari quando, presentando il suo libro Chiese chiuse, la definisce una tomba, un cimitero, esortandoci a pensare ancora oggi ad essa come luogo di incontro tra i vivi e i morti.

Ci piace invece quando usa la metafora delle “passaporte” di Harry Potter, oggetti magici che consentono di viaggiare nello spazio e nel tempo.

Ci piace l’idea dell’accesso a un’esperienza immersiva, in cui una chiesa è parte di un paesaggio vastissimo e di un flusso, frutto di innesti, contaminazioni, commistioni e mutazioni.

Il suo antenato è il tempio, e per molti il suo erede è il museo.

Andare a ritroso ad abitare la storia per scoprire come una cosa sia legata ad un’altra, derivi da un’altra, in un processo di continua trasformazione.

Il rischio di perdere la memoria è quello di non riuscire più a pensare al cambiamento ci avverte Salvatore Settis, perché si perde la consapevolezza e l’immagine di ciò che è già cambiato.

Quando si smarrisce questa immagine nulla può più cambiare. Si perdono contemporaneamente il passato e il futuro.